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Ettore Antona
22 Giugno 1931 13 Gennaio 2009



Fotografia del Professor Ettore Antona

Prof. Ettore Antona

Lineamenti dell'attività scientifica

Analisi Finalistica:
Avvio alla unificazione concettuale delle esistenti analisi delle strutture, ivi compresi i versanti applicativi in genere degli ingegneri e teoretici in genere dei matematici

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Sensibilità alle imperfezioni iniziali e
necessità di approcci non lineari

Una struttura, destinata a sopportare carichi, denota un limite, oltre il quale essi non possono essere aumentati. Tale limite è indicato con "cedimento" o "collasso" ed è di grande interesse da un punto di vista ingegneristico. Qualunque fenomeno di cedimento può essere studiato con una analisi di stabilità. In molti casi esso è conseguenza di fenomeni che possono essere studiati attraverso l’analisi della capacità della struttura di mantenere la propria forma, senza denotare inflessioni o imbozzamenti. L’analisi di stabilità riguarda in questi casi la forma della struttura.

Il primo esempio di analisi di questo tipo risale a Eulero, il quale si è occupato di aste caricate "di punta" cioè da carichi applicati agli estremi e generanti compressione. Eulero ha introdotto, forse inconsapevolmente, un postulato di ispirazione Platonica, prendendo in esame aste di forma perfettamente rettilinea, soggette inizialmente a carichi perfettamente allineati con le aste stesse, cioè casi astratti di fronte a quelli che possono essere realizzati con le tecniche anche più sofisticate. Prendendo in esame un’asta generica, egli, con analisi che non sono strettamente di stabilità, ma che sono riconducibili ad esse, ha investigato le configurazioni assunte per possibile deformaziome sia nel caso in cui si introduca la semplificazione, da riguardarsi ai nostri fini come postulato, di linearità fra spostamenti e deformazioni, sia nel caso in cui la semplificazione non venga introdotta.

L’analisi linearizzata mostra l’esistenza, negli spazi definiti dal postulato di linearità, di livelli discreti di carico cui si associano configurazioni di equilibrio indifferente, in corrispondenza dei quali cioè sono possibili grandi deformazioni a parità di carico, i cui luoghi costituiscono linee di ramificazione delle curve di equilibrio. Tali comportamenti, non realistici, perchè coerenti solamente con il postulato di linearità, e in particolare il minore fra i carichi ad essi associati risolvono il problema ingegneristico di individuare una approssimazione del carico di collasso. Una cosa del tutto analoga si riscontra quando si vogliono determinare i carichi di collasso di pannelli piani soggetti a varie condizioni di carico: compressione, taglio, compressione biassiale e altre combinazioni, di travi soggette a flessione, suscettibili di sottrarsi al carico attraverso rotazioni torsionali e in molti altri casi.

Il caso, forse, ha voluto che i problemi presentatisi all’ingegneria all’inizio e fino al 1930 fossero tali da far considerare come un dato acquisito che i limiti di stabilità delle strutture possano essere trattati utilizzando i postulati della perfezione geometrica e della linearità di comportamento per quanto attiene ai rapporti fra spostamenti e deformazioni. Sta di fatto che la letteratura, anche quella più accreditata, in quel periodo non accennava nemmeno alla necessità di tenere in conto le imperfezioni iniziali di forma nè di fare ricorso a trattazioni non linearizzate per quanto attiene al passaggio dagli spostamenti alle deformazioni interne. Fu in questo ambiente culturale che comparvero in letteratura i risultati sperimentali di Lundquist, il quale, provando a compressione cilindri circolari in parete sottile, ottenne carichi di cedimento dell’ordine di un quinto di quelli previsti dalle teorie pubblicate sui testi più autorevoli. La comunità scientifica interessata al problema, per più di dieci anni, a malgrado di tentativi vari in particolare tendenti a spiegare le discrepanze fra teorie accreditate e risultanze sperimentali introducendo gli effetti delle condizioni di vincolo in prova, si dimostrò incapace di venire a capo del problema, tanto era radicata la convinzione che per siffatti problemi teorie linearizzate e basate sul postulato della perfezione geometrica fossero adeguate.

Si deve a von Karman e a un suo allievo il merito di aver riportato la comunità scientifica alla considerazione della necessità di utilizzare analisi non linearizzate, adatte a studiare anche grandi spostamenti, allo scopo di ben investigare i comportamenti oltre le deformazioni che danno luogo alle crisi negli equilibri e quindi ai comportamenti postcritici. Il principale risultato del contributo di von Karman è l’evidenziazione della capacità delle trattazioni non linearizzate, per quanto attiene alle relazioni fra spostamenti e tensioni, di evidenziare la possibilità dell’instabilità a scatto, fenomeno per altro già noto e presente nei comportamenti, a quel tempo inspiegabili teoricamente, nella compressione dei cilindri in parete sottile. La stessa analisi non linearizzata si è mostrata poi adatta anche a tenere in conto in modo corretto l’influenza delle imperfezioni iniziali di forma, causa di diminuzioni cospicue del carico critico, rispetto alla forma perfetta. Il completo articolarsi del pensiero su questi temi può essere utilmente seguito con l’esame dei comportamenti di un meccanismo a due gradi di libertà; essi rappresentano tipici comportamenti riscontrabili nelle strutture a comportamento analogo a quello dei cilindri sottili compressi, e sono particolarmente adatti a far capire in nuce le capacità indotte nei modelli matematici dai vari postulati. Un risultato della topologia, dovuto al giapponese Yoshimura, che evidenzia come la superficie laterale di un cilindro e una superficie diamantata, che ricorda le deformazioni studiate da von Karman, abbiano lo stesso sviluppo, può far intuire la natura più recondita delle considerazioni proposte dallo stesso von Karman.